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C’è un rischio che l’Italia e la sua capitale corrono e che bisogna a tutti i costi sventare: che le elezioni romane del 2021 siano qualcosa di simile a un incontro di wrestling, con sfidanti che, con evoluzioni tanto plateali quanto irrealistiche, si scontrano per settimane offrendo uno spettacolo che avrà però scarso impatto sulla realtà.
 
È molto probabile che chiunque vinca la sfida non sia poi in grado da solo, o con la sola parte che lo ha sostenuto, di incidere se non superficialmente sugli enormi problemi di Roma. Vincitore sul ring della battaglia elettorale, ma destinato ad andare al tappeto nella sfida, vera, del governo della città. 
 
Non intendo certo sottovalutare l’importanza di una Giunta che abbia chiare le riforme radicali non più rinviabili per imprimere una svolta nell’amministrazione della Capitale, essendomi in questi anni impegnato in prima persona per perseguirle.
Credo, anzi, che si debba pretendere che i candidati spieghino, con chiarezza e nel dettaglio, come intendono affrontare i nodi irrisolti del governo di Roma. E perché ritengono di poter riuscire dove in tanti fino a oggi hanno illuso e deluso. 
Serve a poco la desolante elencazione di problemi che sono sotto gli occhi di tutti, ma bisogna invece avanzare soluzioni puntuali. Alla crisi dei servizi pubblici, cioè delle aziende che li forniscono, che, oltre a gravare sulla qualità della vita dei cittadini, è al centro di un intreccio perverso tra gestione delle risorse, produzione del consenso e inefficienze dell’amministrazione. Al cronico ritardo nella realizzazione di infrastrutture che costituiscono l’ossatura di una metropoli, dal trasporto pubblico allo smaltimento dei rifiuti. Alla crisi che, ben prima della pandemia, attanaglia l’economia romana; alle distorsioni del tessuto produttivo e del mercato del lavoro, all’incapacità di attrarre investimenti. Alla mancanza di politiche sociali in grado di affrontare il disagio abitativo, economico e sociale con interventi personalizzati ed efficaci.
 
Conoscere i problemi e proporre delle soluzioni sarà necessario, ma non sufficiente. Né sarà accettabile il ricorso alla panacea del Recovery Fund per eludere scelte coraggiose. 
La mole di problemi sedimentati in decenni si intreccia con le croniche sofferenze della finanza pubblica della Capitale e con la questione del decentramento dei poteri, con l’impossibilità di governare un’area così vasta, eppure diversificata, su un piano alto e strategico e al contempo di prossimità.  In altre parole il Comune di Roma è insieme troppo piccolo e troppo grande. Sta tutta qui la sua crisi istituzionale.
 
Una crisi che investe direttamente la classe dirigente nazionale, che da tempo avrebbe dovuto farsene carico definendo l’ordinamento della Capitale, come prevede la Costituzione. E invece, ignorando la questione, l’ha abbandonata. Ultima dimostrazione, aver lasciato che il 150° anniversario della proclamazione di Roma capitale – appuntamento dalla valenza storica nazionale, europea e mondiale – passasse senza alcuna celebrazione ufficiale e senza la minima attenzione del dibattito pubblico. Un dibattito che nell’ultimo quarto di secolo è stato un chiacchiericcio nutrito di una generalizzata e velenosa retorica antiromana, che è andata spesso a braccetto con la retorica anticasta. La città più amata nel mondo, eppure la più disprezzata dalla classe dirigente del paese di cui è Capitale.
 
Quello che serve ora è una fase costituente per Roma. 
Non sarà facile, perché la consapevolezza della necessità di uno sforzo comune per rifondare le istituzioni può maturare solo con l’impegno ai massimi livelli da parte di tutte le forze politiche. Quelle che governeranno in Campidoglio, come quelle che governeranno la Regione Lazio e il Paese, dovrebbero prendere un impegno solenne a portare la città fuori dalla palude nella quale sta affondando. Perché gli interventi necessari a superare davvero il Comune di Roma, dando alla Capitale d’Italia ordinamento, funzioni e risorse adeguate, investono tutti questi livelli.  Sebbene l’esperienza mostri che neanche quando abbiamo avuto governo nazionale, regionale e cittadino in mano alla stessa coalizione si sono fatti passi avanti, anzi, si è scatenata una competizione paralizzante. 
 
L’Osservatorio parlamentare per Roma, che raccoglie quaranta deputati e senatori di tutti i gruppi e di cui sono presidente di turno, intende dare un contributo affinché questo dibattito sia avviato anche in Parlamento. “Dopo 150 Roma è Capitale?” è il provocatorio titolo della tavola rotonda che si terrà il 6 novembre nella sala della Protomoteca in Campidoglio, a partire dalla presentazione di un lavoro di ricerca multidisciplinare condotto da un team di studiosi degli atenei romani coordinati dal professore Beniamino Caravita di Toritto. 
 
Che ci si voglia muovere nella direzione di un rafforzamento della Città metropolitana usando gli spazi previsti dalla legge istitutiva del 2014, o tentare di nuovo una via legislativa ordinaria con o senza il coinvolgimento dell’esecutivo, si tratta in ogni caso di percorsi che non può intraprendere e sostenere da solo un sindaco, anche il migliore che possiamo augurare alla Capitale.

Riccardo Magi
Deputato di Radicali +Europa